Lanfranco Tabarelli, OFM (1943-2010)‎

Padre Lanfranco Tabarelli trentino (nativo di Faver (1943-2010) dell’ordine dei Francescani, aveva operato per diversi anni in Rwanda e da una quindicina d’anni operava nel distretto di Antisabe, sugli altipiani centrali del Madagascar. E’ stato trovato privo di vita, nella missione di Bemaha. Il prossimo 19 marzo avrebbe compiuto 67 anni.

Operava in un territorio vastissimo con scarsi mezzi a disposizione. Con lui “è scomparso prematuramente un lottatore di una Chiesa che combatte con gli ultimi, un motore di anime e di comunità, una comunità che ha fatto visibilmente crescere socialmente ed economicamente attraverso una scuola qualificata e favorendo le prime esperienze di cooperazione dell’isola nella coltivazione del riso».
Padre Lanfranco ha lasciato ‘orfani” migliaia di bambini che lo consideravano un papà. Per fortuna era attorniato da validi collaboratori che andranno avanti. Insegnanti, catechisti, ispettori scolastici, capi villaggio.
Matteotti è certo che: «Andranno avanti… assieme ai francescani e al nostro aiuto».
Legate a padre Lanfranco, rimangono le alcune scuole costruite in ogni viaggio. Tutte realizzate con l’aiuto finanziario degli Amici del Madagascar, costituitasi nel 1998 per iniziativa di don Luigi Franzoi. Associazione che ha ricevuto aiuti da vari circoli e associazioni trentine. Le famiglie dei villaggi hanno fornito gratuitamente la manodopera. I risultati sono stati eccezionali con oltre il 90 per cento di promossi nelle scuole cattoliche contro il 50% in quelle statali.

Padre Tabarelli morì improvvisamente nel 2010 a 67 anni non ancora compiuti. Era originario di Faver, in Val di Cembra. Aveva fatto dell’istruzione la sua missione. Un “frate francescano da manuale”, lo definisce Matteotti. Perché ha annunciato e praticato il Vangelo con “quella miscela di capacità, semplicità e modestia che solo i Grandi hanno e sanno alimentare”.

 32 scuole fondate da padre Lanfranco Tabarelli nel distretto di Bemaha in Madagascar.

La vita e l’opera del francescano Tabarelli Lanfranco è illustrata nel libro “Madagascar”. «Una storia che parte dal percorso di Lanfranco Tabarelli, un grande francescano trentino (di Faver (1943-2010) che ha speso una vita e rivoluzionato un territorio povero e isolato sugli altipiani centrali del Madagascar, la Bemaha.

Paolo Tabarelli, Mccj, (1947-2015)

P. Paolo Tabarelli (Mccj, Comboniano) era nato a Faver, di Trento, il 4 febbraio 1947. Durante il liceo era stato colpito, assieme ad alcuni amici, dai Missionari Comboniani ma, prima di entrare in noviziato, decise di uscire dall’Istituto e fece il servizio militare come alpino. Alla fine, aveva già cominciato a lavorare come tecnico in un negozio di elettrodomestici, quando decise di rientrare: emise i primi voti nel 1978 e quelli perpetui nel 1981. Ordinato nello stesso anno, fu subito assegnato al Congo (allora Zaire).

Trascorse i primi tre mesi nella missione di Rungu per imparare la lingua (il lingala), la cultura e gli usi e costumi della gente delle tribù del nord est. I confratelli si accorsero subito della sua seria preparazione biblico-teologica ma anche delle sue doti tecniche e iniziarono a chiedergli diversi servizi.

La sua prima missione fu quella di Ango, tra gli azande, dove divenne parroco e si distinse da subito per il linguaggio chiaro e tagliente contro le ingiustizie, tanto da dare fastidio alle autorità e da essere controllato dagli agenti della ANR – Agence Nationale Renseignements (il KGB locale) – ed essere, per questo, conosciuto fino a Kisangani. Riornato a Rungu, P. Paolo prese ad occuparsi del funzionamento della centrale elettrica e della formazione tecnica dei forgerons sans frontières (fabbri-ferrai senza frontiere), il nome con cui definiva scherzosamente i ragazzi presi dalla strada e ai quali aveva dato un rifugio e una formazione pratica, come tecnici nel settore elettrotecnico ed elettronico, che permettesse loro di guadagnarsi la vita con dignità. E nei vari posti in cui è stato, Ango, Dungu, Kinshasa, Kisangani, Isiro, ha lasciato giovani tecnicamente capaci.
A Rungu, aveva preso subito a cuore lo stato della centrale elettrica, della turbina Kapplan e della rete di distribuzione della corrente, con particolare attenzione all’ospedale.

Ci volle il genio di P. Paolo per rimetterla in grado non solo di funzionare ma di essere automatizzata (per la messa in moto e l’arresto, e per emergenza da surriscaldamento). Si prese cura di questo gioiello prezioso e utile, formando i suoi forgerons per la manutenzione e la riparazione dei guasti, distribuendo poi la corrente oltre che all’ospedale, alle scuole, al seminario e alla missione, anche nei quartieri, per permettere alla gente uno sviluppo e un maggior benessere.

Anche qui (pur mantenendo in missione una cameretta e l’atelier) aveva scelto di vivere con i suoi forgerons, tra la gente, acquistando un terreno e costruendo delle capanne per la loro accoglienza. Si prendeva cura soprattutto dei poveri e degli emarginati.
Profeta scomodo
Era uno dei profeti dei nostri giorni. Come tutti i profeti della Bibbia, ha alzato la voce e denunciato i soprusi e le ingiustizie a danno dei poveri e degli emarginati, e portava in sé il dolore di tutti. Si prendeva cura e difendeva i più deboli, anche se avevano torto.
Dotato di un’intelligenza vivace, quasi ‘geniale’, aveva un bagaglio biblico-teologico e intellettuale notevole, che amava coltivare soprattutto nelle ore notturne, quando era più libero per concentrarsi nella calma. Conosceva bene l’ebraico e il greco.
Amava dedicarsi all’agricoltura. Nella biblioteca di Rungu, c’erano riviste e testi lasciati in eredità dai padri domenicani, tra cui le raccolte di riviste di agricoltura, dei tempi della colonia belga. P. Paolo era l’unica persona che le leggeva e sapeva trarne profitto. Conosceva i terreni e le carenze di humus dovute alle continue piogge. Amava piantare alberi non solo da frutta. Sapeva come far germogliare una noce di cocco per avere un nuovo albero.
Con la partenza dei comboniani da Rungu, P. Paolo fu destinato alla comunità di Mungbere, ma volle continuare a prendersi cura della centrale elettrica – e a seguire i forgerons – e dell’ospedale di Rungu, oltre che occuparsi di quello di Mungbere. Così, alternava periodi in comunità a Mungbere e periodi a Rungu.

Gli ultimi giorni
La Settimana Santa è iniziata proprio “all’ombra della croce”. La sera della Domenica delle Palme una telefonata ci comunicava che P. Paolo era stato portato d’urgenza in ospedale e in sala operatoria per ernia strozzata e addome acuto. Sentiva dolori addominali acuti e ha avuto un collasso con crollo di pressione. Nonostante tutti gli sforzi dei medici, si vedeva che P. Paolo se ne stava andando. La situazione è crollata e poco dopo mezzogiorno del 31/03/2015 il Signore l’ha chiamato a sé.

Angelo Tabarelli, CGS (1928-2017)‎

Padre Angelo Tabarelli è nato a Faedo in Trentino l’8 agosto 1928 da famiglia numerosa e di umili origini. Da piccolo fu accolto dal fondatore della Congregazione di Gesù Sacerdote, padre Mario Venturini, nel piccolo seminario di San Giuseppe di Trento, dove avvenne la sua formazione religiosa e sacerdotale fino all’ordinazione di presbitero del 29 giugno 1955. Da giovane ebbe vari incarichi a Loreto e Zevio. Nel 1969 approdò in Sicilia a Barcellona P.G. con il nucleo iniziale della comunità religiosa dei Venturini, chiamati ad essere di sostegno per il clero e la formazione in Sicilia. Per 46 lunghi anni
P. Angelo si è dedicato al ministero in Sicilia, tanto che questa isola era diventata la sua terra, dalla quale non fu facile separarvisi. Nel giugno 2015 aveva festeggiato i 60 anni di sacerdozio, proprio nel periodo in cui chiudeva il Cenacolo dei Padri Venturini. Trasferito a Roma, aveva espresso il vivo desiderio di voler tornare in Sicilia per trascorrere i suoi ultimi anni. Il 3 novembre 2016 era tornato a Barcellona, ospite in una casa di riposo e là negli ultimi mesi della sua vita è stato attorniato da molti amici e soprattutto dagli aggregati che lo hanno accolto con amore e accompagnato con molte attenzioni. Si è spento il 10 marzo 2017 all’età di 88 anni.

Tanti sono stati i suoi incarichi anche pastorali in tutto il comprensorio tirrenico e nelle isole. Fu amministratore parrocchiale per un breve periodo di Campogrande. Il suo ministero, oltre che di aiuto pastorale ai preti che accompagnava fisicamente e spiritualmente, fu anche quello di instancabile confessore e di guida spirituale di molte anime, che seguiva sempre con il suo dolce sorriso, il sorriso di Cristo. Padre Angelo è stato l’angelo per molti preti, seminaristi, per molti giovani, donne, uomini, anziani che cercavano conforto e aiuto materiale. La sera arrivava stremato, ma non rinunciava alla preghiera, con il suo rosario in mano, il breviario e la Parola di Dio, la quale gli suggeriva la sapienza e la saggezza del cuore di Dio.

Vero uomo, ma anche vero sacerdote secondo il Cuore di Cristo, P. Angelo, ha esercitato il suo ministero di presbitero in un modo singolare, splendido, si è mostrato l’uomo di Dio, il dispensatore discreto della Parola di Dio, della sua tenerezza, della sua misericordia: l’uomo fedele a Dio mettendo fiducia, trasferendo bontà in coloro che lo avvicinano, strumento fedele a Dio.
Come Gesù P. Angelo è a casa di gente povera, di persone con problemi, di vittime della mafia, di sfrattati, di coppie in crisi, di persone amiche con cui farsi carico dei numerosi e gravi problemi. Come Gesù P. Angelo incontra e si ferma, non ha premura per incontri o convegni, ascolta, risponde, condivide il cammino, con giovani e meno giovani, con anziani, ma quasi sempre con gente semplice. Come Gesù che, senza guardare stanchezza, va per città e villaggi, P. Angelo, con la sua macchina d’epoca, la solita cinquecento, raggiunge anche i villaggi più sperduti di montagna, perché lì c’è una persona, un ammalato, un sacerdote, una situazione, un bisogno. È disponibile ad accogliere chi lo cerca per vari motivi e in lui non trovano solo parole consolatorie, ma risposte intelligenti accompagnate da sentimenti di fiducia e di speranza. Va dove c’è una persona seriamente malata e, con discrezione fatta di silenzio e di compassione, la accompagna sino alla fine.

“Lo ricordiamo come una persona silenziosa – scrive la Congregazione di Gesù Sacerdote di Trento – ma generosa nel servizio ministeriale, accanto ai sacerdoti in modo particolare, ai poveri e ai più bisognosi che numerosi accorrevano a lui per un consiglio, una direzione spirituale e anche un aiuto materiale”.

Arcangelo Tabarelli, OFM (1913-1994)‎

P. Arcangelo, Francesco Tabarelli da Faedo (Trento), nato il 21 settembre 1913, vestì l’abito serafico il 26 ottobre 1928; emise i voti solenni il 22 settembre 1934; fu ordinato sacerdote in Cina il 14 marzo 1937; era partito per la Cina ancora studente di teologia nel 1936, dove rimase fino all’espulsione nel dicembre 1948; nel 1951 partì missionario per la Bolivia dove svolse una intensa attività spirituale e materiale; fu anche alcalde (sindaco) della città di Aiquile; colpito da grave malattia ritornò in Provincia e fu ricoverato a Trento nella infermeria dei frati francescani nel marzo 1994; ed ivi serenamente passò al Signore il 9 ottobre 1994.

Massimo (Max) Tabarelli ‎(1939-2009)‎

Fratello della Congregazione Sacra Famiglia di Nazareth

Frate Max

Massimo Tabarelli, nato a Salò nel febbraio del 1939, dopo aver conseguito la maturità si diploma alla Scuola superiore di comunicazioni visive di Milano, entra nella Comunità religiosa Piamartina dove ricopre il ruolo docente di graphic design presso la scuola di grafica degli Artigianelli di Brescia, prestando la propria opera educativa a diverse generazioni di ragazzi che hanno frequentato il centro professionale.

All’attività di docente ha sempre affiancato quella di artista. Conosciuto con lo pseudonimo di frate Max, Tabarelli ha esposto il suoi lavori in mostre personali e collettive allestite in Italia e all’estero. È stato autore di pubblicazioni grafiche e manifesti artistici.
Prima del ricovero nel nosocomio cittadino, l’artista ha vissuto a lungo nel suo rifugio artistico di Monasterace in Calabria. Le esequie si sono svolte nella Chiesa di S. Lorenzo a Promo di Vestone.

Costanzo Tabarelli, O.S.B. (1920-1998)‎

Dom Costanzo Tabarelli (1920-1998), monaco benedettino, paleografo, studioso, editore di fonti ed archivista dell’archivio del Monastero di S. Pietro di Perugia fino al 1998.

Il più celebre archivista di San Pietro fu don Francesco Maria Galassi, grande erudito e appassionato di antichità, fino a giungere al compianto don Costanzo Tabarelli che ebbe l’onore di celebrare il millenario dell’abbazia.

Dom Costanzo

Opere

Importanti interventi di classificazione e inventariazione di documenti non compresi nell’inventario Lamberti, si devono a dom Costanzo Tabarelli, per lunghi anni attento e generoso conservatore dell’Archivio e a dom Giustino Farnedi al quale dal 2005 è affidata la cura dell’archivio.

Cecchini, Giovanni <storico>Battelli, Giulio <1904-2005>Tabarelli, CostanzoMarri, Germano
The memory be green / con la presentazione di Germano Marri ; Giulio Battelli … \et al.! ; prefazione di Costanzo Tabarelli O.S.B. \S. L.! : Grafica Perugia, 1985 (Perugia : Salvi, 1986)

Mira, GiuseppeTabarelli, Costanzo
Liber contractuum (1331-32) dell’abbazia benedettina di San Pietro in Perugia / a cura di Costanzo Tabarelli ; con introduzione di Giuseppe Mira. Perugia : s.n., 1967 (Città di Castello : Unione arti grafiche)

Tabarelli, Costanzo
Documentazione notarile perugina sul Convento di Monteripido nei secoli 14. e 15. / \a cura di Costanzo Tabarelli. Perugia: \s. N.!, 1977 (Santa Maria degli Angeli, \Assisi! : Porziuncola)

Leccisotti, TommasoTabarelli, CostanzoMazzocchi Alemanni, Nallo
Le carte dell’archivio di S. Pietro di Perugia / a cura di Tommaso Leccisotti e di Costanzo Tabarelli; con prefazione di Nallo Mazzocchi Alemanni. Milano : Giuffrè, 1956

BibliografiaMario Roncetti Ricordo di don Costanzo Tabarelli (29 febbraio 1920-22 giugno 1998) BDSPU 96 (1999) 255-64 tavv.
L’Autore ripercorre l’attività dello studioso benedettino, archivista dell’archivio di S. Pietro di Perugia, e ne presenta la bibliografia, ricordando le principali pubblicazioni, che riguardano documenti perugini compresi fra l’XI e il XV sec.

Araldo di famiglia

Tutti i rami della famiglia hanno le stesse origini di quella dei conti Terlago. Il capostipite fu un PAOLO DE FATIS TERLAGO “dictus” TABARELLUS (data di nascita sconosciuta, morto nel 1469), da cui discendono i due fratelli, i cugini ANTONIO e GIOVANNI CONTO (che diedero origine alle famiglie Terlago de Fatis).

Questi tre esponenti della famiglia de Fatis, (Antonio, Giovanni Conto ed il loro cugino Paolo), con diploma datato da Parma 5 aprile 1432, ricevono a Parma, dall’imperatore Sigismondo di Lussemburgo, la nobilitazione imperiale.

Nell’aprile del 1432 Sigismondo conferì come stemma un levriero nero rampante. Il decreto recita: “Nobilibus Antonio utriusque iuris perito ac Ioanne Conto fratribus quodam Pauli de Fatis de Terlaco et Paulo quodam Antonii de Fattis de Terlaco eius consanguineo”.
Nell’ottobre dell’anno successivo, in data 17 febbraio 1433, in vista dell’azione svolta a beneficio del Principato, i tre de Fatis conseguirono anche la nobiltà vescovile per mano del Principe Vescovo di Trento, Alessandro duca di Mazovia, che potenziò lo stemma concedendo loro di aggiungere allo stemma l’aquila polacca, riconfermata poi dal vescovo Giorgio di Hack il 3 febbraio 1463, al suo masaro Antonio.
Nel 1530 l’imperatore Carlo V concesse alla famiglia un motto (“magnanimo potuisse sat est”; l’altro motto “fatis credite – credite fatis – fallere nesciunt” è patrimonio da sempre, ma non si sa quando e da chi sia stato dato).

Lo stemma dei Tabarelli de Fatis. Il primo a sinistra è quello ottenuto con il diploma di nobiltà del 1432. Nella conferma del titolo di nobiltà del 1433, il vescovo di Trento Alessandro, duca di Mazovia, concede la mezza aquila.
Lo stemma di destra è quello del 1433, ottenuto dalla sovrapposizione dei due stemmi nobiliari, In tale occasione venne sostituito l’antico motto “Fatis credere, credere fatis, fallis nesciunt” con il nuovo “Magnanimo potuisse sat est”.
Riproduzione da Stemmi e notizie di famiglie trentine di G.M. Tabarelli de Fatis e L. Borrelli in “Studi trentini di scienze storiche.

L’araldo di famiglia.
I simboli sono due ed entrambi legati all’araldica austroungarica, il primo è metà aquila rossa su sfondo bianco, simbolo del potere temporale, solo l’imperatore poteva avere l’aquila completa perchè univa il potere temporale e spirituale sotto la sua tutela, il secondo è il cane rampante che sta a significare la devozione e la fedeltà all’imperatore. Qui però c’è una diatriba perchè secondo disegni più antichi il cane assomigliava molto di più al leone di Boemia, che, come ben sai, è anche il simbolo dell’evangelista san Marco   (Luigi Tabarelli)

Arma; inquartato: nel 1° e 4° d’argento al veltro di nero, collarinato d’oro, ritto; nel 2° e 3° di rosso alla mezz’aquila bicipite di argento, rostrata e armata d’oro, uscente dalla partizione. Cimieri: su due elmi torneari: a destra il veltro rivoltato, a sinistra la mezz’ala dello scudo nascente.

(da Enciclopedia storico-nobiliare italiana, Milano 1932, a cura di Vittorio Spreti e coll.)

Lo stemma di famiglia viene riprodotto in diversi luoghi e in diversi materiali: significativo è lo stemma ligneo e quello marmoreo come quello che si vede nella chiesa parrocchiale di San Giorgio, a Vigolo Vattaro. A fianco dell’altare maggiore, risalente al 1750, è murata un’epigrafe barocca con lo stemma dei Tabarelli de Fatis, signori del castello che avevano il diritto di patronato della chiesa. Altre riproduzioni sono incise nel marmo o anche ricamato su stoffa.

Casa Tabarelli

Il tour “Abitare tra i vigneti” dedicato a tre residenze rappresentative di epoche diverse, include Villa Tabarelli, casa progettata dall’architetto Carlo Scarpa e dal suo collaboratore Sergio Los e realizzata tra il 1967 ed il 1969 nel Comune di Appiano. Il territorio, si sa, è ad alta vocazione vinicola e proprio alle geometrie del palo incrociato, tipico dei vigneti della Valle dell’Adige, è ispirato il progetto: 5 stanze, ognuna con un suo giardino, protette dal tetto orizzontale. L’andamento dei muri, parallelo a quello delle viti, coinvolge nel progetto sia gli ambienti interni che i loro prolungamenti proiettati all’esterno come luoghi da vivere all’aperto. La casa si apre al paesaggio attraverso grandi vetrate, il vigneto la circonda, pochi mobili ma molti pezzi esclusivi l’arredano tra cui un paravento di Balla, un tappeto di Sebastian Matta e una scultura di Carlo Scarpa, del resto Gianni Tabarelli era un collezionista d’arte e da un altro appassionato la casa è stata acquistata nel 2012. Il nuovo proprietario Josef Dalle Nogare si è affidato all’architetto marosticense Sergio Los per il restauro.

Chiesa di S. Giorgio

Di particolare interesse è la chiesa parrocchiale di San Giorgio, caratterizzata dal bassorilievo paleocristiano raffigurante un albero d’ulivo con uccelli. Secondo alcuni studiosi quest’opera è anteriore al VII secolo. La chiesa è nominata per la prima volta nel XIII secolo (1283). Tra il 1538 e il 1558 avvenne la ricostruzione della chiesa, testimoniata dall’attuale abside gotica con la volta a costoloni. Un’ulteriore modifica avvenne nel 1852 con l’ampliamento attraverso la creazione di una nuova navata a ritmo classico.
L’altare maggiore marmoreo risale al 1750 e al suo fianco è murata un’epigrafe barocca con lo stemma dei Tabarelli de Fatis, signori del castello che avevano il diritto di patronato della chiesa.

La piazza del paese era il luogo designato per le rappresentazioni delle commedie, che erano delle vere e proprie sacre rappresentazioni diffuse in tutto il Trentino.

Castello di Vigolo

 Il castello di Vìgolo era un avamposto del potere vescovile di Trento, utile per controllare la popolazione di Caldonazzo e in genere per tenere sotto osservazione il territorio. Appartenne al vescovo Aldrighetto di Castel Campo e ai signori di Pomarolo. Dopo l’incursione di Ezzelino, che lo diede alle fiamme, venne riedificato e affidato alla famiglia Tabarelli de Fatis di Terlago. 


Il castello in epoca tardo medioevale ricadeva ancora nel territorio del Principato Vescovile di Trento ed era concesso in uso ai vicini che contraccambiavano questa libertà con il versamento dei tributi previsti dalle REGOLE.

Con l’avvento di Federico II di Svevia il potere Vescovile nel timore che il castello potesse essere affidò a nobili fedeli all’imperatore ne affidò la giurisdizione ad una nobile famiglia locale di provata fedeltà al Vescovo. Per la nomina dei rappresentanti del clero l’intero territorio faceva capo alla diocesi di Feltre mentre per la nomina dei nobili signori reggenti alla diocesi di Trento.
Nel 1477 la famiglia Tabarelli de Fatis di Terlago si impossessò del castello. L’attuale fisionomia del castello è dovuta a ricostruzioni risalenti al XV e XVII secolo e poco resta della configurazione medioevale eccetto la torre, perchè il castello andò soggetto ad attacchi e demolizioni parziali soprattutto nel XIII secolo ad opera degli Ezzelini. Dopo essere stato per lungo tempo in possesso di contadini e poi della chiesa, il castello Vigolo Vattaro è tornato a far parte della proprietà Tabarelli, quando un membro di questa famiglia, e precisamente un appartenente al ramo dei Tabarelli residenti a Cavalese, acquistò la costruzione nel 1962 per salvarlo dalla completa rovina.

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