Araldo di famiglia

Tutti i rami della famiglia hanno le stesse origini di quella dei conti Terlago. Il capostipite fu un PAOLO DE FATIS TERLAGO “dictus” TABARELLUS (data di nascita sconosciuta, morto nel 1469), da cui discendono i due fratelli, i cugini ANTONIO e GIOVANNI CONTO (che diedero origine alle famiglie Terlago de Fatis).

Questi tre esponenti della famiglia de Fatis, (Antonio, Giovanni Conto ed il loro cugino Paolo), con diploma datato da Parma 5 aprile 1432, ricevono a Parma, dall’imperatore Sigismondo di Lussemburgo, la nobilitazione imperiale.

Nell’aprile del 1432 Sigismondo conferì come stemma un levriero nero rampante. Il decreto recita: “Nobilibus Antonio utriusque iuris perito ac Ioanne Conto fratribus quodam Pauli de Fatis de Terlaco et Paulo quodam Antonii de Fattis de Terlaco eius consanguineo”.
Nell’ottobre dell’anno successivo, in data 17 febbraio 1433, in vista dell’azione svolta a beneficio del Principato, i tre de Fatis conseguirono anche la nobiltà vescovile per mano del Principe Vescovo di Trento, Alessandro duca di Mazovia, che potenziò lo stemma concedendo loro di aggiungere allo stemma l’aquila polacca, riconfermata poi dal vescovo Giorgio di Hack il 3 febbraio 1463, al suo masaro Antonio.
Nel 1530 l’imperatore Carlo V concesse alla famiglia un motto (“magnanimo potuisse sat est”; l’altro motto “fatis credite – credite fatis – fallere nesciunt” è patrimonio da sempre, ma non si sa quando e da chi sia stato dato).

Lo stemma dei Tabarelli de Fatis. Il primo a sinistra è quello ottenuto con il diploma di nobiltà del 1432. Nella conferma del titolo di nobiltà del 1433, il vescovo di Trento Alessandro, duca di Mazovia, concede la mezza aquila.
Lo stemma di destra è quello del 1433, ottenuto dalla sovrapposizione dei due stemmi nobiliari, In tale occasione venne sostituito l’antico motto “Fatis credere, credere fatis, fallis nesciunt” con il nuovo “Magnanimo potuisse sat est”.
Riproduzione da Stemmi e notizie di famiglie trentine di G.M. Tabarelli de Fatis e L. Borrelli in “Studi trentini di scienze storiche.

L’araldo di famiglia.
I simboli sono due ed entrambi legati all’araldica austroungarica, il primo è metà aquila rossa su sfondo bianco, simbolo del potere temporale, solo l’imperatore poteva avere l’aquila completa perchè univa il potere temporale e spirituale sotto la sua tutela, il secondo è il cane rampante che sta a significare la devozione e la fedeltà all’imperatore. Qui però c’è una diatriba perchè secondo disegni più antichi il cane assomigliava molto di più al leone di Boemia, che, come ben sai, è anche il simbolo dell’evangelista san Marco   (Luigi Tabarelli)

Arma; inquartato: nel 1° e 4° d’argento al veltro di nero, collarinato d’oro, ritto; nel 2° e 3° di rosso alla mezz’aquila bicipite di argento, rostrata e armata d’oro, uscente dalla partizione. Cimieri: su due elmi torneari: a destra il veltro rivoltato, a sinistra la mezz’ala dello scudo nascente.

(da Enciclopedia storico-nobiliare italiana, Milano 1932, a cura di Vittorio Spreti e coll.)

Lo stemma di famiglia viene riprodotto in diversi luoghi e in diversi materiali: significativo è lo stemma ligneo e quello marmoreo come quello che si vede nella chiesa parrocchiale di San Giorgio, a Vigolo Vattaro. A fianco dell’altare maggiore, risalente al 1750, è murata un’epigrafe barocca con lo stemma dei Tabarelli de Fatis, signori del castello che avevano il diritto di patronato della chiesa. Altre riproduzioni sono incise nel marmo o anche ricamato su stoffa.

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